Salento Terra mia, ti ho odiata.
Mi hai mandato a fare in culo da un’altra parte,
mi hai detto che non c’era posto per me,
mi hai scatarrato fuori e ti ho amata. Mi hai fottuto di nostalgia e ti ho odiata.
Ogni rara volta che salgo sopra un treno e ti raggiungo,
ti vedo prima di arrivare, quelle facce,
quelle voci ca mi scardinano il cuore,
quella fissità eterna di terra morta, viva sotto le ceneri,
che del cervello se ne fotte e ragiona coll’utero della madre terra, cu lu core.
Ti vedo dal primo ulivo attorto su se stesso,
segno di avvitamento mortale tra desideriu e dolore,
ecculu na’ lu campanile te santu Ronzu, eccule le ulie,
eccule le macare te Galatina ca levanu tarante te menzu l’anche,
ecculi li Angiulini e li Toti ca minanu fatica sopra i campi, ecculi li malecarne,
li panzachina ca te strazzanu la legge a’mppiettu,
ecculi cu la canna te dhra menza pistola te curaggiu che li fa grandi di niente,
di parole mozze, di sguardi ingiusti di sfide a se stessi.
Eccula l’ultima partita di bionde venute dal mare e di mezzadhri cu lingue sbagliate anche loro d’oltre mare.
Eccolo il mare, eccolo il mare protetto dalla madonna di Roca,
la poesia di quella conca a specchiu di cristallu,
la roccia ca se spricula sotto lo sfioro delle dita.
Eccolo il mare, da lì, sempre mi sono pensato di venire al mondo, come Nettuno, come nessuno, così mi sento; Ulisse,
perecrino senza terra da chiamare terra, che pure tu ci sei e non ci sei, allora,
allora io me ‘mbriacu di me stesso, di racconti di teatru e m’immagino cose magnifiche,
di trasportarti m’immagino con tutte le bellezze ca porti in pettu,
terra maledetta, al centro del mondo e di viverti ogni giorno.
A dhru cazzu ta scaffata, ca sti mille e mille chilometri ca ni separanu ogni volta
mi paiono na conquista, e quando arrivo,
ti odio ancora terra mia, sentendoti parlare,
sentendo in ogni cantune bestemmie contro chi non ha lingua per parlare, terra mia.
Non dire che è tutto colpa degli Albanesi, ca li ho visti buttare il sangue dentro a le campagne,
li ho visti salire su camion vuoti all’alba e tornare a piedi dopo il tramonto,
che i camion erano già chini di pummidori, cosi come le loro tasche, chine di euro,
addirittura dieci euro al giorno li ho visti portare dentro alle tasche,
che poi quattru o cinque li restituisci per dormire e l’altri ci campi.
Terra mia, non lo dire che questi Rumeni ti hanno rovinato ca li ho visti
cadere dai cantieri pure qui, non dire ca di cento se ne salva uno, ca non è vero;
che lo dicevano anche di Noi, non dire che prima che arrivassero loro qua era il paradiso che io
Terra mia ti ho lasciata nel 1988 e ancora nessuna barca si era presentata all’orizzonte e tu,
terra, fissa in te stessa da sempre, eri già così, malata e bellissima lo sei sempre stata.
Malata di assenza di lavoro, malata di assenza di stato,
malata di assenza di legge che tu poi tu te la sei fatta da sola la tua di legge.
La legge del favore, perchè io conosco a quello che è cugino di quell’altro e dov’unque sia tu la applichi questa legge,
negli uffici pubblici, negli ospedali, nei tribunali,
Terra mia.
Tu chiedi favori in cambio di diritti,
che quelle cose che domandi con il portafoglio in mano ti spettano di diritto e non lo sai.
Ti pieghi ancora alla legge di politici ca cattanu voti cu li cinquanta euro,
cu nù paccu di pasta, na promessa di lavoro,
sputando in faccia ai tanti figli tuoi che ti vivono ogni giorno onestamente Terra mia bellissima.
Terra mia.
Mostrami il sole, che in quella luce io mi dimentico di tutto e mi innamoro e ti difendo nonostante tutto e me ne resto sempre senza possibilità altra.
Tuo, profondamente tuo.
Mario Perrotta da: emigranti ESPRESS del 05/01/2007 ultima puntata.