“E di questa altra morte quando parliamo?, la morte strisciante, che non si vede… Ogni giorno, da un anno, lei è lì: tutta la vita che non viviamo, per non rischiare di morire… Ciò che sta succedendo è che umani capaci di vivere non lo fanno più.” (cit A.Baricco).
“In tempo di guerra…” l’abbiamo sentito mille volte dire dai nostri vecchi,
hanno raccontato cose strazianti non da esseri umani.
Di oggi si sentirà dire,
niente più concerti,
nessun teatro o cinema,
i negozi e i locali chiusi che non riaprirono,
la moltitudine di gente senza lavoro,
i bambini senza scuola e senza compagni a cui prestare una matita.
Non un abbraccio amichevole a parte quelli voluti e accettati
con una certa sfida al destino,
sui marciapiedi le persone mascherate incrociandosi
si allontanavano con lo sguardo basso,
i racconti dei sopravvissuti facevano spavento.
Gli alberi e le case di sicuro sopravviveranno.
I miei figli riempiono la mia vita.
Il lavoro, che benedico grazie al quale sono ancora vivo, paga i miei conti.
A volte, qualche raro venerdì le cene con qualche amica
o in casa di Alfred
dove ricevo quel senso di calore e accoglienza familiare
insieme a un bicchiere di vino che aiuti a un po non pensare.
Gli affetti provocano dipendenza specie quando ti sembra che nulla sia più scontato.
A casa alle 21,59 ligi come ci hanno insegnato perché,
in fondo le regole di ubbidienza,
le abbiamo imparate fin da piccoli,
pensare alla normalità di qualche anno fa
rende lontanissimo quel senso di libertà che avevamo
e che oggi sembra miraggio lontano.
Ci interroghiamo l’un l’altro se stiamo bene
e ci ritroviamo a descrivere il nostro stato con labile certezza d’esser sani chissà.
Non siamo più noi stessi come prima.
Si rientra nel proprio mondo a fine sera ringraziando di esser ancora vivi e sani,
pensando di aver vissuto,
per oggi, quel poco che ci possa accompagnare a quel nostro letto,
a quel sogno che speriamo sia buono e rassicurante
senza troppa struggenza.
Avverto il mio cuore più di prima.
Con tanta paura si vive appena.
G. Ingrosso
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